Prescrizione competenze professionali

Prescrizione competenze professionali

 

Q: Vorrei avere informazioni relative ai termini ed alle modalità della prescrizione delle competenze professionali.

In particolare, intenderei sapere se, in mancanza di comunicazione scritta da parte del creditore professionista al committente debitore nel termine dei tre anni, le competenze professionali spettanti allo  stesso professionista si intendono perentoriamente prescritte e decadute.

Se ciò accade, si chiede cortesemente di voler precisare gli estremi normativi, ovvero le intervenute sentenze giurisdizionali che hanno dichiarato la decadenza del pagamento in tutto o in parte delle competenze spettanti al professionista architetto.

R: Il diritto del professionista (architetti, avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro, ingegneri, notai, etc.) al pagamento delle proprie parcelle per l’opera prestata nonché per il rimborso delle relative spese sostenute od anticipate in nome e per conto del cliente si prescrive in tre anni.

L’art. 2956 del codice civile prevede espressamente che “si prescrive in tre anni il diritto: 1) dei prestatori di lavoro, per le retribuzioni corrisposte a periodi superiori al mese (ad esempio la tredicesima mensilità); 2) dei professionisti, per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative; 3) dei notai, per gli atti del loro ministero; 4) degli insegnanti, per la retribuzione delle lezioni impartite a tempo più lungo di un mese”.

Il termine decorre, in generale, dal compimento dalla prestazione. Per tutti gli affari non terminati la prescrizione decorre invece dall’ultima prestazione compiuta ex art.2956 e 2957 c.c. (Cass. 10 dicembre 1975, n. 4075; Cass. 22 aprile 1964, n. 965).

La prescrizione disciplinata dall’art. 2956 del codice civile è una prescrizione presuntiva, cioè si fonda sulla presunzione di adempimento dell’obbligazione e implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura in cui la stessa viene richiesta dal creditore. Si tratta di una presunzione non assoluta (iuris et de iure), ma relativa (iuris tantum), che cioè può essere vinta da una prova contraria. La prescrizione presuntiva, quindi opera su un piano diverso rispetto alla classica prescrizione estintiva, di un diritto non esercitato per il tempo determinato dalla legge, dunque il decorso del tempo non produce l’estinzione del diritto del creditore, ma viceversa determina una semplice presunzione legale: “iuris tantum” di liberazione di avvenuto pagamento del debito una volta decorso il termine triennale, a meno che il cliente non ammetta il mancato pagamento della parcella. Tale presunzione può essere vinta dal creditore richiedente, solo con il deferimento del giuramento decisorio, ossia invitando il debitore a confermare, sotto giuramento, che l’obbligazione sia estinta. Come afferma la Cassazione “in tema di prescrizione presuntiva, mentre il debitore, eccipiente, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito, e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi dell’ammissione, fatta in giudizio dallo stesso debitore, che l’obbligazione non è stata estinta. E l’indagine sul contenuto delle dichiarazioni della parte (o del suo comportamento processuale), al fine di stabilire se importino o meno ammissione della non avvenuta estinzione del debito agli effetti dell’articolo 2959 cod. civ., dà luogo ad un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato sulle ragioni all’uopo adottate dal giudice del merito in quanto confacenti e coerenti…”. Va da se che ove il debitore giurasse il falso, il giudice dovrà necessariamente confermare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione presuntiva ed il creditore vedrà prescritto il proprio diritto. Per il principio di incontrovertibilità del giuramento, inoltre, il creditore non potrà, in sede civile, neanche provarne la falsità, né potrà pretendere, ove questa sia stata dichiarata in sede penale con sentenza passata in giudicato, la revocazione della sentenza ex art. 395 n. 2 (potendo, in quest’ultimo caso, chiedere soltanto il risarcimento del danno ex art. 2738 c.c.). Conseguenza dunque della prestazione di falso giuramento da parte del debitore è che il creditore perde definitivamente il suo diritto, potendo invece far valere il diritto al risarcimento del danno in sede penale o, qualora il reato sia già estinto, in sede civile, sotto forma di danno morale, ma deve comunque provare il falso del suo ormai ex cliente.

A sua disposizione per ulteriori chiarimenti.

Cerca nel sito